Commercio, che fine ha fatto il nostro tempo?

Il tempo al di fuori dell’orario contrattuale dovrebbe appartenerci invece ci viene sottratto dal Capitale e ruota comunque intorno al lavoro e al consumo

 

Roma -

Datori e imprenditori sostengono come l’orario di lavoro sia quello fra una timbratura del cartellino e l’altra, cioè quello che effettivamente trascorriamo nello svolgimento delle nostre mansioni.
Siamo sicuri sia davvero così?
L’orario di lavoro è unicamente quello riportato nel contratto?
O vi è un tempo di lavoro che eccede le ore contrattuali e che, invece di appartenerci, ruota comunque intorno un’attività produttiva, monetizzabile?

La conquista delle otto ore lavorative, grazie alle lotte operaie degli anni 70, era basata sulla divisione della giornata in tre parti:
8 ore come tempo di lavoro e consumo
8 ore come tempo condiviso
8 ore come tempo riflessivo per se stessi

Il tempo di lavoro e consumo è un tempo in cui si produce e si scambia del denaro, cioè monetizzato, dedicato ad attività di consumo in senso generale.
Il tempo condiviso è il tempo relazionale, da condividere con la famiglia, gli amici e dedicato in generale ai rapporti sociali.
Il tempo riflessivo è quello dedicato unicamente a noi stessi, che va ben oltre il generico tempo libero. Una dialettica con se stessi per capire chi si è, progettare il proprio futuro e rinnovarsi verso una rappresentazione più vera di se.
Le liberalizzazioni, approvate nel decreto Salva Italia del 2011, hanno deregolamentato le aperture dei negozi, incidendo non solo sull’orario di lavoro, ma su tutta la divisione temporale che era stata conquistata.

L’esistenza di tempi di riposo universali, comuni a tutti o a quasi tutti è un carattere fondante la socialità umana, che va ben oltre il nobile significato religioso o civile delle feste celebrate. Significa potersi ricreare in compagnia delle persone a cui si vuole bene, condividere un tempo di fermo dall’attività lavorativa, e infine percepire attorno a sé la sacralità del riposo nel riposo generale della collettività. Violare questa sacralità del riposo condiviso è naturalmente possibile, ma lo deve essere per validi motivi. E’ evidente che vi sono alcune attività che per forze di cose non possono conoscere interruzioni (servizi medici, trasporti).
La trasformazione imposta dalla società dei servizi 24/7, nei settori non essenziali, come la vendita e il trasporto delle merci, incide proprio su questa possibilità di condivisione. Le aperture notturne e sette giorni su sette nei settori non essenziali destruttura la quotidianità dei lavoratori coinvolti.
Esiste si una turnazione, per cui ovviamente non si lavora 24 ore al giorno, ma sono proprio questi turni a cancellare tempi di vita strutturati e socialmente intesi. Non esiste più una domenica, una vigilia di Natale o un 1 Maggio così come viene inteso e vissuto dal resto della società.

A fronte dello stesso numero di ore contrattuali, i lavoratori del commercio hanno la sensazione di non avere più tempo condiviso e riflessivo, che il tempo a loro disposizione non sia sufficiente.
Chi ci ha rubato il nostro tempo?


Il Capitale ci intrappola lavoratori del commercio sono intrappolati nel tempo di lavoro e consumo, spesso escono dal negozio in cui lavorano ed entrano in un altro per fare acquisti.
Tutto il proprio tempo ruota intorno al lavoro fra il tentativo di raggiungerlo e le pause lunghissime fra un turno e l’altro.
I luoghi di lavoro si allontanano sempre più sia per le cessioni continue da parte delle aziende, che vendono lavoratori come scatolette di tonno. Sia per l’inadeguatezza dei salari che non permettono più di scegliere liberamente la propria abitazione, costringendo i lavoratori a lunghi viaggi da pendolari.
Quelle che prima erano quattro ore di lavoro al giorno (a cui bisognava sempre aggiungere il viaggio) si sono trasformate in intere giornate. L’orario di lavoro è talmente frammentato che in molti casi i part time vengono spalmati su tutta la giornata, obbligando i dipendenti a vivere sul posto di lavoro.

Il tempo stesso viene concepito come una merce, quantificato e monetizzato. Insicurezza e precarietà della società contemporanea vengono supplite dalla gratificazione immediata da sfogare nei consumi, in una domanda incalzante di prodotti sempre nuovi.
Il mercato ci spinge verso un’accelerazione dei tempi di vita, una frenesia che si oppone alla lentezza necessaria per riprodurre se stessi e creare legami significativi. Se è vero che ognuno svolge la propria attività lavorativa è l’esistenza di tempi condivisi a creare connessioni fra gli individui.
La flessibilità dell’orario di lavoro, i continui straordinari, i turni spezzati e spalmati su tutta la giornata li porta direttamente dal tempo di lavoro a quello di consumo cancellando, di fatto, il tempo condiviso e quello per se stessi.
I tempi e i ritmi della vendita al cliente superano le otto, sei o quattro ore registrate, destrutturando la vita quotidiana dei lavoratori, a partire dalla singola giornata, dalle pause per andare in bagno, alla pausa pranzo. Fino ad arrivare all’impossibilità di rappresentare se stessi e pianificare il proprio futuro.
Il recente rinnovo contrattuale di Federdistribuzione, approvato fra gli entusiasmi di Cgil, Cisl e Uil, si muove sempre più in questa direzione. L’azienda infatti può costringere i dipendenti a superare il proprio monte orario fino a 16 settimane l’anno.

Le vittorie dei lavoratori, sostenuti da Usb, sul riconoscimento del tempo tuta come tempo di lavoro a tutti gli effetti sono l’esempio reale di quanto il tempo di lavoro vada ben oltre le semplici ore contrattuali. Queste battaglie hanno mostrato la forza dei lavoratori che sono riusciti a farsi riconoscere il tempo della vestizione come tempo di lavoro, riducendo, di fatto, l’orario di lavoro a parità di salario.


L’Unione Sindacale di Base, insieme ai lavoratori, pretende:

•    part time con orari certi e prestabiliti;
•    l’annullamento della flessibilità lavorativa su tutti i contratti nazionali;
•    la diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

 

Usb Commercio