Il commercio di Viterbo fra scheletri di cemento e precarietà
A pochi mesi dall’inaugurazione del nuovo polo commerciale già sono visibili gli effetti: contratti a tempo determinato e negozi abbandonati
Pochi mesi fa l’inaugurazione in grande stile, nonostante la pandemia, del nuovo complesso affiancato al cimitero. Anni di cantiere per erigere l’ennesimo insieme di centri commerciali in una città in cui la concessione di terreni a questo scopo la fa ormai da padrone, con pochissimi controlli, senza alcun progetto a lungo termine di sviluppo vero dal punto di vista culturale e lavorativo.
Viterbo, come molte altre città, è emblematica di cosa stia accadendo.
In città si contano più di 100 punti vendita di media grandezza e cinque di grandi dimensioni, 232 mila metri quadrati destinati alla vendita, di cui la maggior parte sulla direttrice Cassia nord, che ha una metratura commerciale ormai superiore a quella dell’intero centro storico. Così questo si sta svuotando, chiudono i negozi di vicinato, le imprese artistiche e le botteghe artigiane. Attività ventennali, che hanno abbassato la saracinesca, o annunciano di farlo entro l’estate, non riuscendo a rincorrere la Grande distribuzione sugli orari e sui prezzi.
Il risultato è lo strapotere dei grandi marchi che, senza alcun tipo di concorrenza, sfruttano i propri dipendenti con la minaccia del licenziamento o del mancato rinnovo.
I negozi aprono, chiudono e riaprono poche centinaia di metri più in là. Un sistema spesso usato unicamente per assumere personale sempre nuovo, con contratti interinali, liberandosi dei lavoratori con contratti vecchi e più tutele.
I nuovi contratti vengono stipulati per lo più a part time, poi gli orari vengono spalmati su tutta la giornata, 6 ore di lavoro vengono divise fra mattina e pomeriggio, costringendo i dipendenti a vivere nel punto vendita.
Il silenzio istituzionale permette alla Grande distribuzione di imporre gli orari, allungandoli sempre di più sul modello delle aperture no stop.
Chiediamo all’amministrazione di schierarsi con i lavoratori e non con le multinazionali, mettendo un fermo alle aperture giornaliere e domenicali e controllando il lavoro nero, attraverso protocolli di intesa con l’Ispettorato del Lavoro. Un tema di competenza locale su cui altre città italiane hanno deliberato.
L’Usb chiede il fermo delle concessioni edilizie per innalzare mostri di cemento, che affamano i lavoratori e distruggono il territorio e spiegazioni sui criteri con cui fino adesso sono state assegnate.
Pensiamo all’abbandonato Colosseo del Riello, quello che doveva essere il più avveniristico centro commerciale e direzionale della Tuscia, e forse dell’intero Centro Italia, è oggi una struttura in degrado pericolosa e inquinante.
Lo stesso sta accadendo con i negozi che si trasferiscono nella nuova area commerciale alle porte di Viterbo, l’ennesimo cimitero di ferro e cemento. Spianate di asfalto che mangiano il nostro territorio, lasciando scheletri alla città come i Magazzini Generali, la Centrale del Latte e la Cantina Sociale.
Lo strapotere della Grande distribuzione deve essere arginato e controllato, possiamo farlo solo se uniti e organizzati nei posti di lavoro, pronti a lottare per i nostri diritti e per quelli dei nostri colleghi.
USB Viterbo