Coop di Guidonia: l'analisi di un accordo vergognoso
In allegato il testo dell'accordo
La premessa è doverosa. Non stiamo parlando di una fabbrica in crisi o che vuole delocalizzare. Stiamo parlando di una catena come la Coop che vuole solo vendere di più di quello che vende oggi per battere la concorrenza.
LA COOP E' UN'AZIENDA CHE PRODUCE UTILI E, INVECE DI USARLI PER RISTRUTTURARE, UTILIZZA IL SALARIO DEI LAVORATORI PER FARE ANCORA PIU’ GUADAGNI
Si tenga presente questo, perché alla luce del nuovo accordo è certo che analoghe richieste verranno avanzate da tutta la grande distribuzione della zona laziale. Come faranno CGIL CISL e UIL a dire no alle restanti catene commerciali?
Quindi questo si tradurrà, se passerà senza opposizione, nella pietra miliare della cancellazione dei pochi diritti ancora presenti nel settore del Terziario.
L'analisi del testo:
Unicoop Tirreno affitta il ramo d’azienda del punto vendita di Guidonia a Distribuzione Lazio, la quale non è altro che una Spa partecipata della stessa Unicoop Tirreno con altre Coop del distretto adriatico tutte facenti capo alla Lega delle Cooperativa. L’ipocrisia del documento fa scrivere che questo punto vendita non rientra nelle strategie di Unicoop Tirreno, mentre alle Coop del distretto adriatico interessa molto per espandere il proprio commercio. Ma allora si vende o non si vende a Guidonia?
Allora la domanda è: una cessione in famiglia ma per fare cosa? Lo dice l’accordo stesso: tagliare i costi a partire dai diritti dei lavoratori.
Infatti, senza pudore, nell’accordo firmato da CGIL CISL e UIL si dichiara che si vuole tenere prezzi bassi, mantenere la qualità del prodotto sino “alla eccellenza”, assortimento più ampio di qualsiasi concorrente, ampie promozioni in linea con le altre Coop. Tutto ciò dovrebbe portare i fatturati dagli attuali 12,7 milioni all’iperbolica cifra di 21 milioni nel 2018. Un incremento del 40%. Si registri questo numero perché sarà utile alla fine dell’analisi dell’accordo.
Non avendo trovato chi cammina sulle acque e moltiplica gratis i pani e i pesci, tutto ciò porta ad una domanda: con quali attrezzi si costruisce questo inarrestabile successo? Ridurre il costo del lavoro del 18%. Come? Cancellando il contratto integrativo.
CGIL CISL E UIL accettano senza colpo ferire di finanziare PER SEMPRE questo progetto CON IL 18% dei salari dei dipendenti.
Segnaliamo inoltre che l’accordo prevede una riduzione di un altro 10% relativo ai costi vivi di gestione: affitti, energia, tariffe, capitolati. Anche qui una domanda: ma se si può oggi ridurre del 10 % le spese correnti, più che dimezzandole ( si passerebbe nelle previsioni dal 18,79 al 9%), dov’erano i dirigenti di Uicoop Tirreno che hanno sperperato per anni risorse che potevano essere usate per il rilancio del punto vendita senza arrivare alla cessione? Ma più che altro dove saranno in futuro? Cacciati a calci nel sedere? No ovviamente. I dirigenti rimangono con tutti le loro “stock-options” (in italiano: ricchi compensi), mentre i lavoratori vengono sbattuti sotto la soglia di povertà.
Tra tutte colpisce una frase:
“il modello organizzativo adottato prevede che tutti gli addetti alle vendite di cui sopra abbiano un contratto part time 1040 ore.” Il che vuol dire stipendio dimezzato rispetto ad un tempo pieno di circa 600 euro mensili netti, quindi molto sotto la soglia di povertà. Appare evidente che l’utilizzo del part time non è dettato dall’organizzazione del lavoro ma dal porre il lavoratore in condizione di ricattabilità e subalternità al direttore o capo di turno. Questa è l’occupazione che garantisce la Coop!
Poco lavoro ma tanto tempo libero voi penserete? Ma neppure per idea. Il lavoratore Coop è sempre a disposizione dell’azienda. I turni sono all’insegna della massima flessibilità, a discrezione dell’azienda “ ivi compresa la possibilità che vi siano settimane con orario di lavoro pari a quello dei lavoratori a tempo pieno, settimane nelle quali l’orario di lavoro è ridotto e settimane in cui non vi è prestazione lavorativa (…) in funzione della massima EFFICIENZA ORGANIZZATIVA”. Per chi non capisse cosa significa si scrive in chiaro “ concentrare un alto numero di presenze nei momenti di massima efficienza e poche o NESSUNA nelle fasi meno produttive.
Ve la ricordate l'ipocrita campagna “LA DOMENICA NON SI VENDE”? Alla coop si traduce in “LA DOMENICA SI SVENDE”, infatti “Per tutti l’orario di lavoro deve prevedere la prestazione domenicale e festiva”. Non solo. L’accordo prevede l’apertura del punto vendita a Capodanno, Pasqua, 25 aprile, 1 Maggio Natale, Santo Stefano. Bontà loro queste giornate su base volontaria: ma chi sarà che potrà rifiutarsi con 600 euro di stipendio e le ore straordinarie (clausole elastiche), elargite a totale discrezione dell’azienda!
La tabella contenuta nell’accordo non lascia dubbi, i numeri sono testimoni inconfutabili della macelleria sociale.
Livello d’inquadramento | Organico attuale | Nuovo modello |
Sino al 4° livello (144)full time | 7 | 0 |
Sino al 4° livello (144)full time settimanale | 28 | 0 |
Sino al 4° livello (144)full time modulare | 0 | 36 |
4° livello (155) | 4 | 0 |
3° livello(167) | 2 | 7 |
3° livello (180) | 1 | 0 |
2 livello | 1 | 0 |
Totale | 43 | 43 |
Senza pudore sotto questa tabella si dichiara “ il modello organizzativo e gestionale (nessun stato di crisi quindi) si traduce NELL’ESUBERO DEI DIPENDENTI CON CONDIZIONI ATTUALI e non compatibili con il modello organizzativo.” L’ipocrisia di questa dichiarazione è evidente nel fatto che gli operatori continueranno a svolgere l’identico lavoro che svolgevano precedentemente. L’esuberò sta solo nel salario con cui quel lavoro veniva pagato.
A tutto ciò si aggiunge che “premio aziendali e la differenza tra il terzo elemento preesistente e quello previsto dal CCNL della distribuzione cooperativa saranno collocati in un super minimo ad personam IN ASSORBIMENTO a fronte di qualsiasi aumento contrattuale” . Non solo riduzine dell’orario di lavoro ma anche riduzione programmata del salario effettivo.
Infine, alcune considerazioni sui punti operativi dell’accordo.
La liquidazione del TFR significa l’interruzione del rapporto di lavoro, smentisce il trasferimento d’azienda senza soluzione di continuità, citato per l’anzianità.
Questo è confermato anche dall’obbligo di firmare un contratto attraverso la conciliazione individuale che significa che, qualora tutti i lavoratori non aderissero alla conciliazione, il contratto di CGIL, CISL e UIL è carta straccia (non firmare significa tenersi aperta la strada delle cause individuali).
Essendo un contratto individuale, la norma per cui è facoltativo o no aderire alle settimane a 0 ore produce che, anche per l’azienda, è facoltativo accettare o meno al momento della firma il contratto con questo lavoratore.
Essendo l’impianto dell’accordo tutto strutturato sulle clausole elastiche e quindi alla totale discrezionalità dell’azienda di concedere, per il futuro, un orario aggiuntivo alle 1.040 ore di base fissate nell’accordo in questione, tutto ciò che viene teoricamente dato per volontario diventa obbligatorio, pena la perdita delle ore supplementare e, quindi, di maggior reddito, dato che quello base è sotto la soglia di povertà.
Si leggano le ulteriori considerazioni alla luce di questo enunciato.
Il mantenimento delle ore superiori a 1.040 è sempre temporaneo ed la sua riconferma è subordinata alla realizzazione del piano di rilancio, cioè a quanto decide unilateralmente l’azienda.
Infatti, si parla di 200 ore certe aggiuntive alle 1.040. Perché allora non partire da 1.240? Perché non sono certe, ma sempre vincolate alla lettura che l’azienda fa del piano aziendale, esplicitamente previsto nell’accordo attraverso la verifica annuale, fatta sempre unilateralmente dall’azienda.
Siamo inoltre al lavoro a chiamata, potendo l’azienda modificare gli orari con un preavviso di 48 ore (che, sempre nell’ottica del lavoro supplementare, nella realtà diverrà sempre più ridotto).
Che le clausole elastiche siano viste nell’ottica di una flessibilità selvaggia lo si deduce anche dal fatto che l’azienda si è premurata di scrivere nel contratto che queste sono una” fattispecie particolare per finalità e modalità” che, tradotto in italiano, significa in deroga alla legge sul part time.
In questo campo è incredibile che un sindacato abbia potuto sottoscrivere una frase di questo tipo.
OTTIMIZZANO LA DISTRIBUZIONE DEGLI ORARI DI LAVORO IN FUNZIONE DEL FATTURATO AZIENDALE.
SCHIAVI TOTALI DEL PROFITTO, dato che lo stesso accordo definisce che l’orario di lavoro è finalizzato a migliorare il rapporto vendita/costo del lavoro.
L’azienda “proporrà ad un terzo del personale un incremento definitivo di orario contrattuale sino a raggiungere le 1.250 ore”. Anche qui CGIL, CISL, UIL abdicano totalmente al potere decisionale in favore dell’azienda senza fissare criteri e percorsi; un’altra potente arma di ricatto per dividere i lavoratori e scatenare la guerra fra poveri.
Inoltre, l’azienda dichiara che elargirà altre 150 ore (senza dire come), vincolando questo agli obiettivi di vendita.
Tra le altre cose questo accordo, con il consenso esplicito di CGIL, CISL, UIL, prevede l’apertura del punto vendita il 25 aprile, il 1 maggio, Capodanno, Pasqua, Natale, Santo Stefano. Unica concessione che nelle sole giornate citate il lavoro festivo sarà volontario. Volontario? Dopo tutto quello che è fissato precedentemente nell’accordo dove, ad ogni negazione, corrisponderà una penalizzazione?
Infine, anche la difesa occupazionale viene messa in discussione dalle ultime righe dell’accordo, dove l’azienda si tiene mano libera per il ricorso ad ulteriore riduzione di personale. Infatti, nell’accordo è previsto che l’azienda possa ricorrere ad ammortizzatori sociali, previo confronto con la RSU. Ma, di più, l’accordo prevede anche riduzione di personale attraverso il trasferimento dello stesso ad altri punti vendita del sistema COOP.
Insomma, i primi effetti del Jobs Act.