Il rimborso chilometrico è dovuto, USB vince in tribunale!

Roma -

Ancora una volta portiamo a casa un risultato importante: il Lavoratore che viene inviato in trasferta temporanea, in un luogo diverso dalla sede abituale di lavoro, ha diritto al rimborso delle spese di viaggio per il maggior percorso.

Lo abbiamo sempre sostenuto e avevamo ragione.

È una circostanza che spesso viene riproposta dai Lavoratori che assistiamo. Tanti, infatti, vengono inviati anche a diverse decine di chilometri dalla sede abituale di lavoro senza percepire alcunché.

Migliaia di chilometri percorsi ogni anno sostenendo le spese di carburante e anche quelle indirette e legate all’usura della propria autovettura. Gli Istituti, tanti, scaricano i costi d’impresa sul dipendente che, oltre a trovarsi alle prese con un salario basso, deve anche fare i conti con i crescenti costi per carburante e riparazioni.

Il contratto, come sempre, non viene in soccorso. La solita ambiguità nelle forme letterarie utilizzate lascia troppo spazio all’interpretazione, abbandonando spesso i Lavoratori in un pantano di norme e contratti integrativi poco chiari, o forse no.

Il caso che abbiamo sottoposto al giudice del lavoro di Torino è quello di una guardia particolare giurata, dipendente dell’Istituto Puma Security, assunto e adibito a svolgere le proprie mansioni presso l’aeroporto Sandro Pertini di Caselle. Nella sua lettera di assunzione era subito saltato ai nostri occhi l’anomala indicazione della “sede abituale di lavoro”. L’Istituto aveva sostenuto che quella era la sede di lavoro e che, quindi, non spettasse alcun rimborso per raggiungere il sito di Caselle Torinese.

Avevamo contestato l’errata applicazione e l’interpretazione delle norme e, in particolare, quella contenuta nel CIR PIEMONTE 2009, oggi ancora vigente, che individua la sede di lavoro nel Comune ove ha sede l’impresa ovvero nelle altre sedi e distaccamenti concordate con i Sindacati. La Società, pur non avendo concordato con nessuna delle Parti Sociali che l’aeroporto fosse una nuova sede di lavoro, non aveva voluto sentire ragioni continuando a non elargire alcun rimborso.

Certi delle nostre ragioni, abbiamo ritenuto necessario adire le vie legali. Scelta che oggi ci restituisce una sentenza chiara che condanna la Società al pagamento degli arretrati.

Ovviamente, questo percorso è proseguito nei mesi nella totale assenza d’intervento degli altri sindacati che, per i loro iscritti nelle stesse condizioni, non hanno attivato alcuno strumento lasciando che l’Istituto non rimborsasse alcunché.

Proseguiamo in solitaria la lotta per i diritti dei Lavoratori in un campo ormai sgombro da altri soggetti che, impegnati nella difesa di rendite di posizione, si disinteressano della tutela dei diritti dei Lavoratori e delle Lavoratrici che lottano, in primis, contro questi contratti assurdi.

Invitiamo tutti i Lavoratori che vedono giornalmente calpestati i propri interessi ad organizzarsi e unirsi ad USB per costruire una vera alternativa ad un sistema che mira soltanto ad impoverire e sfruttare chi lavora.

USB Vigilanza