L'arrampicata sugli specchi di Unicoop Tirreno

Unicoop Tirreno risponde (negando l’evidenza) all’articolo del Fatto Quotidiano: la nostra controreplica

Roma -

Colpita al cuore dall’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano di domenica 16/03/2014, l’Unicoop Tirreno risponde. Come organizzazione sindacale che da anni lotta contro i problemi emersi nell’articolo in questione - e come secondo sindacato in azienda - ci sentiamo in dovere di fare alcune precisazioni.

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Unicoop Tirreno dice: Sulle specifiche vicende che riguardano la sig.ra Catia Bottoni e le signore Molinaro e Di Maio abbiamo più volte provato ad argomentare l’accaduto, ma dobbiamo prendere atto che il merito non interessa.

La loro argomentazione è quella che, per le dipendenti in questione, non avevano altri posti oltre a quelli proposti a centinaia di chilometri da casa, strappando queste donne alle loro famiglie. La realtà invece è che si tratta di vere e proprie punizioni nei confronti di persone che si erano rivolte ai Tribunali per far valere i propri diritti. Unicoop Tirreno è infatti un’azienda da 6mila dipendenti, e tutti sanno che il posto per 3 (tre) persone vicino a casa (o comunque non a 400 chilometri di distanza!) c’era eccome. Questi 3 casi comunque sono soltanto la punta di un iceberg fatto di precarietà diffusa sacrificata sull'altare di una cieca "produttività".

 

Unicoop Tirreno afferma: sono mesi ormai che una cooperativa con circa 6.000 dipendenti e il 98% dei contratti di lavoro a tempo indeterminato viene citata come esempio del peggior padronato

Il 98% dei contratti di lavoro a tempo indeterminato (dato comunque tutto da verificare, perché ovviamente dipende dai periodi dell’anno), è stato raggiunto in due modi:

1- Proprio licenziando (come da noi denunciato) i precari che da anni lavoravano in azienda con continui susseguirsi selvaggi di contratti a termine

2- Trasformando gran parte degli ex precari storici in precari a vita, con forme contrattuali che prevedono l’impiego al lavoro per solo 5-6 mesi all’anno

Confermiamo quindi che un’azienda che spedisce per punizione lavoratrici a centinaia di chilometri da casa, e licenzia decine e decine di precari senza motivo dopo averli sfruttati per anni e anni, è a tutti gli effetti un esempio del peggior padronato.

 

Unicoop Tirreno scrive: La nostra cooperativa ha un ufficio stampa e relazioni esterne che il suo giornale non ha mai interpellato.

 

Bene, fa piacere sapere che Unicoop Tirreno sia un’azienda così aperta al dialogo con i giornalisti. Ben diverso è il suo comportamento rispetto ad un’organizzazione sindacale che rappresenta centinaia di dipendenti, seconda in azienda per numero di iscritti. L’USB è infatti da anni oggetto di una vera e propria discriminazione sindacale inaccettabile. Con noi non parlano, non ci rispondono al telefono, ignorano le nostre mail, cestinano i nostri fax, sorvolano sulle nostre richieste di incontro. Un’azienda seria, corretta e rispettosa, parla anche con l’ultimo dei lavoratori se questo lo chiede, Unicoop Tirreno invece non parla con una organizzazione che di lavoratori ne rappresenta centinaia. La motivazione che danno? “Non siete firmatari del Ccnl”. Una scusa assurda, visto che sono centinaia i casi in Italia di sindacati non firmatari di Ccnl che sono però ammessi ai tavoli aziendali e che talvolta firmano regolarmente anche accordi e contratti integrativi (il caso di Usb all’Ilva è solo uno dei tanti).

 

Unicoop Tirreno dice: I reparti confino non esistono

Beh, non ci aspettavamo certo che Unicoop Tirreno lo ammettesse, ma la realtà è che gli spostamenti di negozio nei confronti di lavoratori “scomodi” esistono e sono sotto gli occhi di tutti. Prova ne è il recente trasferimento ai danni di un nostro delegato Usb dal negozio di Civita Castellana (Viterbo). Trasferimento per il quale stiamo anche valutando un ricorso in Tribunale per condotta antisindacale.

 

Unicoop Tirreno sostiene: la violenza durante lo svolgimento delle assemblee soci è pura fantasia

Attenzione: su questo episodio abbiamo prove, testimoni, racconti. Invitiamo Unicoop Tirreno ad andarci piano con parole di quel tenore (“pura fantasia”) riferite ad un episodio grave (realmente accaduto e comprovato da testimoni) come una violenza fisica ai danni di un nostro dirigente sindacale da parte di un altro dipendente “filoaziendale”.

 

Unicoop Tirreno afferma: i fatti riferiti alla realtà livornese sono completamente fuorvianti e non veritieri, la precettazione dei dipendenti nel corso di uno sciopero è stata negata dal giudice a fronte di un ricorso presentato da USB.

Questa cosa Unicoop Tirreno dovrebbe andare a dirla ai lavoratori il cui nome era presente in quelle liste di lavoratori “comandati” nel giorno dello sciopero, provando a dirgli che non fu una precettazione. E anche per quanto riguarda la sentenza negativa del giudice, in realtà il fatto non è stato assolutamente negato, visto che (citiamo direttamente da tale sentenza) si parla di “lista di lavoratori impropriamente definiti comandati”. Quindi quella lista di lavoratori che non potevano scioperare c’era eccome (infatti è agli atti del processo e l’azienda non l’ha mai negata), nonostante, come confermato dal giudice nella stessa sentenza, nel commercio non sia possibile alcuna precettazione. E una ammissione di una sostanziale precettazione si trova anche in un altro punto della sentenza: “ciò che è emerso è una prassi sindacale [con Cgil-Cisl-Uil ndr] che ha consentito sino ad oggi alla parte datoriale di fare ricorso al cosiddetto crumiraggio diretto e di limitare, in via preventiva, i danni conseguenti allo sciopero dei lavoratori”. Alla faccia della cooperativa. Quella sentenza comunque fu da noi dettagliatamente analizzata punto per punto l’anno scorso in un nostro comunicato, e la questione non è ancora conclusa visto che il prossimo 10 aprile ci sarà un’altra udienza.

 

Unicoop Tirreno dice: tutto ci pare costruito per dare un’immagine negativa delle cooperative di consumo.

E quale interesse ne avremmo? Noi semmai auspichiamo il contrario, ossia che le condizioni di lavoro nella cooperazione rispondano a quei valori che la stessa promuove. In altre parole, non ce l’abbiamo con la cooperazione, ma invece critichiamo quei dirigenti che ne stanno rovinando l’immagine e il nome compromettendo le condizioni di lavoro di migliaia di lavoratrici e lavoratori.