COOP: ECCOLA LA VERA FACCIA DEI PADRONI
Nonostante la Magistratura del Lavoro di Avellino si sia espressa più volte per il reintegro di Lucia, iscritta USB, e per quello della sua collega Margherita, Unicoop Tirreno non ottempera alle sentenze del Tribunale, in perfetto stile Marchionne. Le motivazioni dell'ultima sentenza (in allegato), espongono in maniera dettagliata l'illeggittimità della condotta tenuta da Unicoop Tirreno che, come troppo spesso accade in questo paese, sembra non accettare il parere espresso dalla Magistratura e continua a tenere a casa le due lavoratrici.
Vinta la battaglia per la sopravvivenza della cooperazione in Campania, ancora viviamo gli strascichi della prima “RITIRATA STRATEGICA” di Unicoop Tirreno dalla Regione, il “passato” dei quattro supermercati del colosso della grande distribuzione che vennero ceduti ad un'azienda di Castellammare di Stabia, inizio del calvario di chi vi era impiegato. Ma, come per la Fiat di Melfi, quando un giudice di Avellino impose il reintegro di due di loro, si rispose: "Non sussiste alcuna possibilità", con buona pace dell’etica cooperativa che tra l’altro è sempre più sugli “ONORI” delle cronache toscane, laziali e campane; in sostanza Lucia e Margherita licenziate.
Tutto questo alla Fiat di Melfi? No, questa volta è accaduto in un supermercato campano, a Solofra, provincia di Avellino, che fino a qualche anno fa era a marchio Coop. Ed è successo a due lavoratrici licenziate prima dalla Unicoop Tirreno e poi dalla società che ha rilevato il ramo d’azienda a cui la loro unità produttiva apparteneva, si sono viste riconoscere per tre volte dal Tribunale del Lavoro di Avellino il diritto ad essere reintegrate dalla Unicoop Tirreno. Ma senza risultato perché, in una lettera inviata alle stesse, «la scrivente cooperativa [non] ha la possibilità di adibirla presso altre unità produttive alle medesime mansioni da quelle [...] svolte in precedenza. Non sussiste quindi alcuna opportunità di [...] utile impiego».
Peccato però che in Campania la situazione era tutt’altro che immobile, si era alla vigilia dell’inaugurazione di un superstore da 2.200 metri quadrati con 150 posti auto nel quartiere Arenaccia di Napoli ed altri erano in corso d’apertura, con relative campagne di assunzione. Ma la storia delle due lavoratrici era ben più estesa. Oltre al supermercato di Solofra, la cessione comprese infatti anche i supermercati di Castellammare di Stabia, Soccavo e Nocera Inferiore. E il successivo licenziamento di tutti i lavoratori.
Come si è arrivò a questa situazione? Facciamo un passo indietro e torniamo al 1999 quando la Coop Campania, dopo un breve transito sotto la Coop Toscana-Lazio, passò nel gruppo Unicoop Tirreno. Tra il 2008 e il 2009 iniziarono a percepirsi i primi problemi di bilancio che portarono alla determinazione di cedere quattro supermercati campani come ramo d’azienda. Il tutto fu ufficializzato il 19 aprile 2009 con la lettera di licenziamento recapitata a una sessantina di lavoratori. Unicoop rassicurava ripetendo non c’era da preoccuparsi poiché i lavoratori sarebbero stati assorbiti dalla nuova società.
Quindi occupazione garantita? Non proprio in quanto il primo acquirente a farsi avanti fu Cavamarket di Antonio Della Monica, a cui in Campania era demandata la gestione del marchio Despar, quando si tirò indietro il suo posto venne preso da un imprenditore di Castellammare di Stabia, Michele Apuzzo, che gestiva il marchio Sunrise e che, visure camerali alla mano, risultava proprietario della Immobilmare Srl (dalla cui compagine societaria la Cavamarket è passata uscendone quasi subito). Si trattava di una società creata nel 2003 e con un capitale sociale di 95 mila euro interamente versati, ma che fino al 2009 non risultava aver gestito attività economiche né aver fatturato alcunché.
Di fatto la storia aziendale della Immobilmare sarebbe iniziata con i supermercati di Solofra, Castellammare di Stabia, Soccavo e Nocera e i suoi primi dipendenti sarebbero stati proprio quelli dalla Unicoop Tirreno. Circa 60 lavoratori a cui fu chiesto se fossero disposti ad andarsene. In caso affermativo sarebbero stati messi in mobilità per un periodo variabile tra i tre e i quattro anni, a seconda dell’età.
Di fronte a questa scelta diciassette dipendenti rifiutarono ed iniziarono un tour de force tra carte bollate, avvocati, querele e trattative (o presunte tali). Se all’inizio, per esempio, i dieci di Nocera presero servizio, il rapporto con la nuova azienda andò avanti per poco, fino a giugno 2010, poi arrivò il licenziamento. Ma andò ancora peggio ad altri punti vendita. Il magazzino di Soccavo, sottoposto a lavori di ristrutturazione, non aprì ed i lavoratori finirono in cassa integrazione. Invece a Solofra, quello delle cause vinte dalle due dipendenti, non solo non si iniziò alcuna attività commerciale, ma il locale che sarebbe dovuto divenire il nuovo supermercato andò a fuoco senza che si sia mai capito come e perché. Il risultato, per tutti, non cambiò, il lavoro non si trovò più.
Ci fermiamo all’agosto del 2010 e crediamo sia sufficiente a spiegare perché USB non ha accettato nessuna trattativa con il privato e perché questa storia ispiri il nostro futuro, a fianco dei lavoratori campani in lotta nel presente per non ripetere gli errori che hanno devastato le famiglie di Lucia, Margherita e tutti gli altri che con orgoglio avevano dato il loro apporto ad un’azienda che si affannava a pubblicizzare il tonno a marchio pescato salvaguardando il delfino, che dai suoi altoparlanti diffondeva una suadente voce femminile che ci ricordava che i prodotti COOP sono realizzati senza discriminazione né sfruttamento del lavoro, ma che nel contempo non teneva conto di circa 60 famiglie del territorio campano.
USB Lavoro Privato si stringe attorno a Lucia e Margherita, ancora senza lavoro e senza stipendio, e proseguirà nel sostegno della loro vertenza.