Dal McDonald's di Manatthan l'annuncio: lo sciopero mondiale dei dipendenti delle più importanti catene di fast food

Roma -

Una settantina di manifestanti si sono dati appuntamento il 7 maggio davanti a un ristorante McDonald’s di Manatthan per annunciare lo sciopero a livello mondiale dei dipendenti delle più importanti catene di fast food. Giovedì 15 maggio in oltre 150 città degli Stati Uniti e di più di altre 30 nazioni, compresa l’Italia, andrà in scena la protesta planetaria di questi lavoratori, ai margini della soglia di povertà, per paghe migliori e più soddisfacenti condizioni di lavoro. I lavoratori di decine di Paesi in tutti i continenti hanno annunciato l’ingresso nel movimento per salari più alti e migliori condizioni di lavoro nei ristoranti come McDonald’s, Burger King, Wendy’s e Kfc.

 

I lavoratori della multinazionale del panino a basso costo alzano la testa e denunciano le contraddizioni che si celano dietro le campagne pubblicitarie che queste aziende mettono in campo, McDonald’s in testa. 

 

Dietro le false promesse di queste “catene di montaggio” della ristorazione, di creare posti di lavoro o di mostrare questi luoghi come un mondo accattivante e un ambiente simpatico, si celano numerose incoerenze, tra l'altro evidentissime. I posti di lavoro sono spesso precari, con contratti a tempo determinato e spesso part-time e non possano certo rappresentare un'opportunità in grado di soddisfare le esigenze di stabilità di un individuo o, meno che mai, di una famiglia; soprattutto se si fanno i conti con l’occupazione persa a causa della chiusura di molte attività ogni anno, incapaci di reggere la concorrenza.

 

Le numerose testimonianze che l’USB ha raccolto nel settore, tra l’altro a prevalente occupazione femminile,  sono il sintomo più evidente che i lavoratori dei fast food sono stremati e stanno portando alla luce le condizioni di precarietà di chi si guadagna da vivere in questi veri e propri  laboratori di sperimentazione di nuove forme di sfruttamento e di alienazione nei confronti dei lavoratori che vengono indotti a considerare l'azienda come una "famiglia", dove la flessibilità è un elemento imprescindibile: straordinari, festivi obbligatori, orari che cambiano ogni giorno, ferie non concordate sono la normalità e rendono inconciliabili i tempi di vita e di cura della famiglia con il lavoro. A questo si aggiunge tutta una serie di meccanismi disciplinari e di abusi, come il mobbing, che minano qualsiasi forma di tutela.

 

I dispositivi relazionali entro cui si formano i lavoratori - postmoderni e "flessibili" - delle grandi catene di fast food emergono dalle testimonianze dirette di diversi dipendenti ed i tentativi di resistenza che le soggettività in questione mettono in atto per rispondere alla spinta disumanizzante cui sono sottoposte, vengono repressi violentemente.

 

Finalmente i lavoratori cominciano a reagire e a mostrare la polvere che si cela sotto il tappeto della loro cattiva occupazione e questo anche attraverso la comunicazione orizzontale offerta dai social network e dal loro effetto moltiplicatore, riuscendo addirittura a contrastare i canali pubblicitari classici di cui si servono le multinazionali. Il caso della pubblicità della McDonald’s dello scorso anno in Italia, che ha irritato non poco i sindacati di categoria ed i lavoratori che già da tempo si sfogavano in rete, ne è un chiaro ed inequivocabile segnale. 

 

L’omologazione dell’organizzazione del lavoro messa in atto dalle multinazionali del settore, seppur con diversi linguaggi a seconda della nazionalità, tende a comprimere verso il basso i salari ed i diritti dei lavoratori, finanche quello di far pipì. Una sorta di jobs act planetario con il quale il capitale vuole assestare il colpo di grazia alla classe lavoratrice.

 

Il sussulto, ancora in ordine sparso, dei lavoratori di queste multinazionali del panino a basso costo assomiglia ad una embrionale presa di coscienza operaia. L’USB sa bene da quale parte stare ed il prossimo 15 maggio appoggerà e sosterrà la lotta di questi lavoratori.