La cooperazione italiana saluta l'ingresso del "compagno" Soros
Con buona pace dell’articolo 45 della Costituzione (“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”), assistiamo all’inquietante ingresso dello speculatore finanziario statunitense George Soros nella Igd, fondo di gestione immobiliare controllato dalla Lega delle Cooperative. Il re della speculazione internazionale diventa terzo azionista di un fondo delle Coop “rosse”: il processo di “mutazione genetica” è compiuto.
Veniamo ai fatti: il fondo Quantum Strategic Partners (gestito da Soros Fund Management), ha acquistato una quota pari al 5% di Igd società immobiliare specializzata nel settore commerciale, diventandone il terzo azionista. A vendere non è solo direttamente Igd col 3,5% di azioni proprie, ma anche Unicoop Tirreno che vende l'1,8% limando così la propria partecipazione dal 14,9% al 13,1%. Del resto le necessità di cassa della Coop guidata da Marco Lami non sono un mistero.
La notizia fa scalpore e si guadagna la prima pagina di Repubblica e la firma di Gad Lerner. Quello che ci coglie impreparati è l’ingenuo stupore di chi si ostina a vedere la finanza e le Coop come il diavolo e l'acquasanta. L’USB sostiene da tempo che la cooperazione ha smarrito l’originario spirito di solidarietà e mutualità, sacrificato alla logica del mercato, della competizione e del profitto, l’ingresso di Soros nella galassia cooperativa non fa che avvalorare le nostre tesi. Possiamo immaginare che in Coop Adriatica, il maggior azionista di Igd, siano felici dell'entrata di Soros nell'azionariato (e la borsa premia), tanto quanto dell'entrata di Poletti nel governo (e la borsa forse premia il titolo anche per questo).
La storia di Soros è nota ai più, almeno negli aspetti più eclatanti, per una vicenda che lo rese famoso all'opinione pubblica italiana nel settembre del 1992, allorché il finanziere di origini ungheresi speculò fortemente contro la lira vendendo allo scoperto la nostra valuta e costringendo la Banca d'Italia a vendere 48 miliardi di riserve in dollari nel tentativo di sostenere il cambio. La débâcle fu totale e la lira subì una svalutazione del 30% con automatica fuoriuscita dal Sistema Monetario Europeo (SME). In seguito, per riallinearsi ai parametri dello Sme, il governo Amato varò una pesantissima manovra finanziaria di oltre 90.000 miliardi di lire che introduceva la ISI (Imposta Straordinaria sugli Immobili) che divento ICI nell'anno successivo a dimostrazione che in questo Paese le operazioni straordinarie hanno spesso maggior probabilità di durata dei provvedimenti ordinari e ponderati. L'altro aspetto per cui la manovra di Amato è rimasta indelebilmente scolpita nella memoria degli italiani è il prelievo forzoso sui conti correnti dello 0,6%.
Ma tutto questo non deve stupire, l’incontro di questi due mondi all’apparenza lontani non è che l’avvicinamento naturale di soggetti che giocano sullo stesso terreno, quello della finanza. D'altronde Unipol è quotata alla borsa di Milano dal 1986, quando l'orizzonte ideale di riferimento del mondo Coop era il partito comunista e l'Unione Sovietica ancora respirava. La struttura stessa di Unipol è bizzarra, per usare un garbato eufemismo. Una Spa quotata che è controllata da Finsoe, una Spa contenitore partecipata dalle maggiori Coop. Insomma delle Cooperative che controllano una società per azioni quotata dalla quale (quando andava bene) ricevevano dividendi. Questa costruzione societaria, attraverso scatole di controllo, tipica del sistema capitalistico nostrano, indica che Coop e Spa non sono modelli necessariamente alternativi, ma hanno sviluppato una commistione, formando una sorta di mostro bicefalo che tende a massimizzare i vantaggi dei due modelli. Una mutazione genetica, per dirla con le parole di Mario Frau, Manager Coop “pentito”, tra i primi a segnalare il fenomeno nel libro La Coop non sei tu. E così accadeva che nel Cda di Unipol circa una dozzina di anni fa, sedeva un Soros de noantri, il finanziere bresciano Chicco Gnutti (quello dei capitani coraggiosi dell'avventura Telecom con Colaninno). I vertici di Unipol (Consorte e Sacchetti) furono condannati con Gnutti per insider trading (il più classico dei reati finanziari) su obbligazioni Unipol. Insomma parve scontato che ci si potesse contaminare e anche con relativa facilità. Gli anticorpi etici non erano sufficienti in finanza.
Poi c'è tutta la vicenda Unipol-Bnl che, nonostante l'assoluzione di Consorte, lascia più di una perplessità. All'epoca del tentativo di scalata risaltò la figura del presidente di Unicoop Firenze, Campaini, che rifiutò il coinvolgimento nell'operazione e dal suo fallimento visse momenti di gloria come faro dei valori storici Coop che nell'ubriacatura finanziaria le Coop emiliane sembravano aver smarrito. In realtà il no di Campaini ad appoggiare economicamente l'azione di Consorte su Bnl non fu dettato tanto da principî, ma dalla strada che Unicoop Firenze già sciaguratamente perseguiva, con un impegno sempre maggiore nell'azionariato di Monte dei Paschi. Le strade finanziarie della cooperazione toscana e quella emiliana si stavano separando. Per quanto riguarda Mps sappiamo come è andata.
Che il Prestito Sociale (prerogativa tipica delle coop) sia stato utilizzato in più di una circostanza in modo spregiudicato e non sempre in linea coi principi mutualistici è stato motivo di discussione anche per la recente operazione di Unipol su Fondiaria-Sai. Del resto i bilanci delle grandi Coop sono stati spesso negativi proprio a causa di investimenti finanziari azzardati, ricordiamo, oltre il già citato caso di Unicoop Firenze con Mps anche la vicenda dei derivati di Coop Nordest dell'allora presidente Marco Pedroni, poi promosso a capo di Coop Italia.
Il tema dunque non è nuovo, ma una realtà sedimentata da cui non si torna indietro. Il supermercato Coop è rimasto un punto di riferimento nell'immaginario collettivo, ma le grandi Coop della distribuzione sono andate oltre ed altrove da molto tempo, differenziando in vari modi e l'approccio deciso al mondo finanziario ne fa parte. Resta da capire quanto sia coerente mantenere ancora lo status di cooperativa e noi un’idea su questo l’abbiamo espressa alla Camera dei Deputati.
Le nostre proposte oggetto degli incontri avuti il 7 ed il 24 gennaio con la deputata Gessica Rostellato, rappresentante M5S in commissione Lavoro alla Camera, e la nota inviata dall'USB alla stessa Rostellato, sono state recepite appieno e hanno prodotto la MOZIONE 1/00334 depositata il 07 febbraio 2014 dal M5S, a firma dei deputati Rostellato, Chimienti, Rizzetto, Baldassarre, Cominadi, Bechis, Tripiedi, Ciprini, Mucci, Prodani. Siamo curiosi di conoscere in merito il pensiero del nuovo Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti che prima della nomina di governo ha guidato Legacoop dal 2002 e Adc, l’alleanza nata tra cooperative rosse e bianche dal 2013.
Insomma, tra relazioni pericolose e conflitti di interesse c’è materiale per un best seller, scritto purtroppo sulla pelle di milioni di dipendenti e soci lavoratori delle cooperative.