Commercio: Federdistribuzione, il 7 novembre uno sciopero farsa

Roma -

Federdistribuzione ricalca il modello Marchionne, costruisce la sua "Fabbrica Italia" e detta le condizioni per un CCNL capestro per oltre due milioni di lavoratori.

Cgil, Cisl e Uil hanno indetto il loro solito sciopero farsa, dal momento che le richieste padronali erano note da 2 anni ed in tutto questo tempo non hanno fatto altro che informare poco e male i lavoratori e rtilanciato con una debolissima piattaforma che prende sostanzialmente in giro i lavoratori ed è tutta improntata a garantire la massima produttività alle multinazionali del commercio. Mentre quello che è veramente in ballo per le confederazioni sindacali che ambiscono a firmare il contratto, è la bilateralità (finanziata in parte dalle aziende ed in parte con un prelievo coatto nelle buste paga dei lavoratori).

 

Ma ricostruiamo i fatti: Federdistribuzione, che riunisce le federazioni e rappresenta le aziende della GDO italiana, dapprima comunica l'uscita da Confcommercio e la conseguente disdetta del CCNL del Commercio e degli eventuali accordi territoriali e aziendali, a partire dal 1 gennaio 2014; successivamente rende noto che all'interno del percorso di definizione del nuovo CCNL di settore della Moderna Distribuzione Organizzata, è stato notificato il recesso dagli attuali fondi contrattuali di assistenza sanitaria integrativa dei dipendenti (fondi EST,QUAS e Saninpresa). L’uscita è operativa dal 1° gennaio 2014. "Da tale data troverà applicazione una nuova copertura sanitaria allo scopo dedicata, che garantirà ai lavoratori del settore, in attesa della costituzione dei fondi contrattuali, medesime prestazioni". Fondi che, a nostro avviso, sono un vero e proprio attacco al Servizio Sanitario Nazionale e nell'intenzione sono la chiave di volta per sostituire la sanità pubblica con quella privata, con buona pace del diritto alla salute.

 

Questa operazione, perlopiù sconosciuta alla massa dei lavoratori della GDO, ricalca in pieno l'uscita di Marchionne da Confindustria e la creazione di Fabbrica Italia, con la stipula di un contratto ad hoc. Il chiaro intento è quello di scavalcare a destra i già pessimi contratti di Confcommercio e Confindustria e rendere le condizioni dei lavoratori ancor più insostenibili in termini di salario e di diritti per mantenere inalterati i profitti. Una spietata lotta di classe che inciderà in maniera devastante sulla vita di milioni di lavoratori di questo paese.

 

I nostri "sospetti" sono divenuti realtà quando federdistribuzione ha messo sul tavolo delle trattative le condizioni che sono, a suo dire, imprescindibili per arrivare alla firma del nuovo CCNL. Una vera e propria mattanza di diritti e di salario ai danni degli oltre due milioni di lavoratori del settore, ma vediamo le "pretese" nel dettaglio:

  • eliminazione degli automatismi che incidono sul costo del lavoro (scatti di anzianità e automatismi sugli scatti automatici di livello);
  • ripristino dell'orario settimanale a 40 ore;
  • esigibilità degli strumenti di flessibilità e distribuzione dell'orario lavorativo sui 7 giorni la settimana, trasformando di fatto la domenica in un giorno lavorativo ordinario;
  • abbassamento della prestazione minima lavorativa del part-time dalle attuali 18 a 16 ore settimanali;
  • superamento dell’accezione di “mansione prevalente” attualmente prevista dal contratto;
  • definizione di una progressione salariale legata alla realizzazione degli interventi sopra descritti (praticamente la fine degli aumenti salariali).

 

 

Tutto questo è reso possibile anche grazie all'immobilismo complice e silente dei sindacati concertativi, troppo attenti agli enti bilaterali e totalmente assenti nella difesa dei propri "rappresentati". Da qui nasce anche l'esigenza di blindare la "rappresentanza" attraverso i vari accordi tra padronato e sindacati confederali che di fatto impediranno ai lavoratori di scegliere da chi essere rappresentati.

 

Lungi da noi la difesa del CCNL del Commercio, che negli anni ha visto la parziale perdita di un diritto fondamentale come quello della malattia retribuita e l'introduzione del lavoro domenicale obbligatorio, aumenti economici a dir poco ridicoli e, come unico "avanzamento", il rafforzamento di quegli enti bilaterali tanto cari ai sindacati concertativi ma poco chiari ed inutili per i lavoratori.

 

Appare tuttavia evidente che questa operazione è fatta a tutto vantaggio del padronato e ridurrà i pochissimi diritti ancora sanciti dal contratto, quali potrebbero ad esempio essere le maggiorazioni sul lavoro domenicale e festivo, per applicare senza costi aggiuntivi ll Decreto "Salva Italia" di Monti che ha di fatto liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali.

 

Insomma, una pausa in meno alla FIAT o una maggiorazione festiva in meno per i lavoratori del commercio, la nostra analisi di qualche tempo fa dal titolo "CENTRI COMMERCIALI: templi dello Shopping o nuove FABBRICHE METROPOLITANE?" sembra tornare di attualità, i "Prenditori" di questo paese si muovono in maniera organica e compatta e continuano a fare profitti sottraendo salario e diritti a chi lavora. La sfida che ci apprestiamo a raccogliere è quella di ricompattare una classe che non si riconosce per la disgregazione messa in atto scientemente dai capitani coraggiosi di questo paese.

 

 

 

I lavoratori del commercio sono stanchi di vedersi peggiorare le condizioni di lavoro e di vita da pseudo sindacati che hanno come unico scopo quello della sopravvivenza degli apparati e della gestione della crisi a braccetto con i padroni.

 

USB Commercio ha spedito a Federdistribuzione, Confcommercio e all'Associazione Nazionale Cooperative di consumo la sua piattaforma alternativa che è espressione delle istanze che provengono dai luoghi di lavoro. Le architravi della nostra piattaforma sono salario, precarietà, contrarietà al lavoro domenicale e festivo, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e soprattutto democrazia, quella democrazia scippata da lorsignori che in cambio del peggioramento delle nostre condizioni di lavoro e di salario ottengono benefici e privilegi per i loro patronati, per gli enti bilaterali, con la gestione della previdenza e dell’assistenza sanitaria integrative.

 

Insomma, non ti far ingannare ancora una volta: uno sciopero è un'arma nobile che non può essere spesa in favore del rafforzamento degli enti bilaterali e della rinuncia di parte dei tuoi già esigui diritti.